Lotteria istantanea

Una donna le urtò la spalla e la superò, trascinandosi dietro un carrellino della spesa. – Oh, la prego, non si scusi, non ce n’è bisogno! -, le urlò, ma la donna non ci fece caso, continuò a camminare, oltrepassò la chiesa e poi tornò indietro, si fece il segno della croce, inginocchiandosi goffamente. – Villana! -, la apostrofò, – Villana bigotta! -, poi la vide riprendere la strada, accelerare sulle strisce pedonali, incurante del semaforo rosso. – Prima corrono, hanno fretta, e poi si fermano a dir buongiorno a dio -, borbottò, ma la donna era già scomparsa, non riusciva più a distinguerla, tra le poche persone che ancora erano in città, nel mezzo del mese di agosto. In quel momento, le campane iniziarono a suonare. Si fermò davanti alla chiesa anche lei, la porta era aperta e così entrò, si sedette nella penombra rinfrescante, in un banco all’ultima fila. Socchiuse gli occhi e provò sollievo: si stava bene, le candele accese le conciliavano il sonno e l’odore dell’incenso le ricordava quello dell’olio nuovo, o forse la memoria la stava ingannando e aveva sovrapposto due immagini che nulla avevano in comune tra di loro. Dopo un poco, sentì qualcuno entrare, passarle accanto, inserire una moneta nella bussola metallica delle offerte: pensò a quanto fosse ridicolo quel gesto, a quanto fossero credulone le persone che affidavano a pochi centesimi un desiderio, e poi scongiuravano il volto sofferente di una madonna affinché lo realizzasse. – Come fanno, come fanno a buttare via il denaro in quel modo? -, borbottò tra sé, e si alzò, – Adesso vado a dirglielo -, si propose, ma non aveva voglia di alzarsi, di rinunciare al conforto di quel momento di tregua dall’estate, dal tedio quotidiano, dalla vita. Quando riaprì gli occhi, intorno a lei non c’era più nessuno: era di nuovo sola. Ci mise qualche minuto a riabituarsi all’eccesso di luce dell’esterno e, una volta a casa, si pentì per non aver mai fatto installare un condizionatore, sventolandosi col volantino pubblicitario di un nuovo fast-food.

L’indomani tornò in chiesa. Questa volta percorse tutta la navata centrale, si sedette di fronte all’altare. – Allora, dio -, mormorò, – Adesso che mi dai di buono? Da dove incominciamo? -, e soffocò una risata, pensando a sua nonna, che in chiesa ci andava per sapere i fatti degli altri: chi si sposava, chi veniva tradita, chi era incinta e chi rimaneva sola e intanto invecchiava, e si candidava a diventare un avanzo d’amore buono soltanto per un vedovo. Prima di andarsene, notò una piccola porta, sulla sinistra, lesse la scritta: “Confessioni il sabato mattina”, e fece schioccare rumorosamente la lingua contro il palato, – Bisogna persino prenotarsi per raccontare i propri peccati -, e si ripromise che lei mai l’avrebbe fatto, nemmeno in punto di morte. Mai avrebbe vuotato il cassetto delle sue miserie, né tanto meno l’avrebbe fatto gratis. Poi, sulla strada del ritorno, cambiò idea, trovò che potesse rivelarsi divertente: si figurò la faccia sconvolta di un prete anziano, le sue mani sudate che stringevano un rosario mentre lei gli raccontava ogni cosa, i dettagli più croccanti, senza fermarsi mai. Alla fine, l’avrebbe pregata lui di smettere, ne era sicura. Qualche ora più tardi, bussò a quella porta; era venerdì, dunque non era giorno di confessioni, tuttavia un sacerdote giovane l’accolse, sorrise alla sua poca obbedienza. – Ho bisogno di un’assoluzione urgente! -, gli disse. Lui non le rispose, le indicò una poltrona di plastica bianca, poi si sedette su uno sgabello di fronte a lei. – Mi dica pure -, la invitò, e si sporse verso di lei, i gomiti appoggiati sulle ginocchia; era vestito di nero, le braccia nude e magre, i capelli corti che gli ricadevano appena sulla fronte. Allora lei gli raccontò di tutte le occasioni in cui aveva tradito suo marito: col fisioterapista, col maestro di piano di sua nipote, col benzinaio di fronte alla cartoleria, con un uomo importante, ma non poteva rivelare il nome. Poi passò a quella volta in cui sua sorella le aveva chiesto dei soldi in prestito, per mandare il figlio all’università e lei aveva risposto di non averli, pur di non darglieli. Il prete, contrito, annuiva, lo sguardo indulgente. – Vada avanti, sorella -, la invitava. Così lei ammise di aver rubato al supermercato, ogni tanto, per piacere e non per bisogno, di bestemmiare tutti i giorni, di spiare i vicini dalla finestra e di non farsi problemi a mentire. – Mi piacciono le bugie, mi permettono di vivere meglio, allenano l’intelligenza e permettono grandi soddisfazioni, – commentò, ed era compiaciuta e soddisfatta dei suoi tanti peccati, che per lei erano soltanto occasioni di divertimento, gustose avventure. Si annoiava, come tutti, ma doveva pur passare il tempo in allegria.

– Bene -, le disse il sacerdote, comprensivo, – Va bene così, può bastare: la assolvo -, e le sfiorò il capo con entrambe le mani, – Può andare in pace -, concluse. Lei non riusciva a crederci, era delusa. – Mi assolve e basta? -, e lui annuì; – Non devo fare niente? Sicuro? -, insistette lei, – Nessun Ave Maria, niente penitenza? -. Lui sorrise di nuovo, si alzò in piedi; – No, niente penitenza -, fece una pausa, si inchinò davanti alla poltrona bianca dove lei era seduta. – Ma provi a dare una possibilità alle persone, una ogni giorno. Provi a pensare che ognuno, tutte le mattine, ha una possibilità di riuscire, di realizzare qualcosa: ecco, tutto ciò che dovrà fare sarà cercare di aiutare gli altri con un gesto -, spiegò. Sembrava serio, le sue labbra erano diventate una linea dritta. – Ma non ha senso -, si spazientì lei, – Mica la carità è una lotteria: io voglio solo la mia dannata penitenza -, protestò, ma il prete insistette. – Ci provi -, le ripeté sottovoce, e la lasciò.

Era delusa; non tornò in chiesa per oltre una settimana, imprecò più del solito, insultò nella sua mente quel giovane inetto, vestito di nero, che la aveva accolta un venerdì pomeriggio, e cercò di studiare un modo per tradire ancora suo marito, sebbene fosse vedova da anni e il tradimento non avesse più molto senso. Poi le venne un’idea maligna, una notte in cui non dormiva e si rivoltava sul materasso rovente e non sopportava più la camicia da notte chiazzata di sudore e maleodorante, nonostante l’avesse indossata solo poche ore prima. A partire dall’indomani mattina, iniziò a recarsi ogni giorno dal tabaccaio. – Dammi dieci biglietti della lotteria istantanea -, gli ordinava, e lui le strizzava l’occhio, – Fanno venti euro -, le rispondeva, e a lei quella frase sembrava un’impacciata dichiarazione d’amore. Poi, coi dieci biglietti in mano, iniziava il suo giro delle consegne e li faceva scivolare, uno alla volta, in altrettante cassette della posta. Sceglieva a caso i destinatari, – Ecco la mia dose di carità -, proferiva, mentre lasciava cadere il rettangolo di carta nella buca, – Ecco la tua possibilità: quanto ci metterai a sprecarla? -, ed era perplessa ma, in qualche modo, si sentiva più tranquilla. Sapeva di poter tornare alle proprie meschinità in santa pace, assolta dalla divina bontà casuale di una serie di biglietti della lotteria, potenzialmente vincenti.